ASSOCIAZIONE DI STUDI SU DIRITTO E SOCIETÀ
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Notizie

Cordoglio per la perdita di Morris L. Ghezzi 

Il ricordo di Vincenzo Ferrari
​

Il 22 aprile scorso è scomparso Morris L. Ghezzi, ordinario di sociologia del diritto presso il Dipartimento di Studi giuridici “Cesare Beccaria” dell’Università di Milano. Le sue gravi condizioni di salute erano note soprattutto agli amici più vicini, ma il coraggio eccezionale con cui aveva affrontato la durissima malattia nel corso di più di due anni, e alcuni buoni risultati ottenuti grazie alle cure cui si era sottoposto avevano acceso anche recentemente buone speranze, risultate purtroppo vane.
Morris Ghezzi lascia in eredità solide tracce della sua profonda cultura e della sua sensibilità di studioso. Spirito inquieto e discreto, poco incline all’autorappresentazione, ha compiuto la carriera accademica con un distacco che, negli ambienti universitari, lo ha reso meno visibile di quanto avrebbe meritato. Era soprattutto un lucido osservatore, ora interno ora esterno rispetto alla realtà di volta in volta osservata, che interpretava nella chiave del suo dichiarato relativismo gnoseologico ed etico. Un relativismo che a volte appariva estremo, anche rispetto alla simile opzione intellettuale (in realtà più prospettivistica che relativistica) del suo maestro Renato Treves, ma che non era indifferente verso la ricerca di una verità, sia pure contingente ed effimera: la “verità relativa”, come diceva, contrapponendola alla “verità rivelata”. Forte era in lui la passione civile, il rifiuto di ogni autorità la cui legittimazione non fosse fondata sul libero benché aspro confronto di opinioni. Anche la sua scelta di appartenere alla Libera Muratoria, ai cui vertici da tempo si collocava, era da lui spiegata come frutto della ricerca di un ambiente privo di vincoli ideologici sottratti alla discussione.
Morris aveva iniziato l’attività di studioso scrivendo una tesi di laurea in giurisprudenza sulla distinzione tra fatto e valore nel pensiero di Norberto Bobbio, ove aveva sostenuto che il divisionismo bobbiano si fondava, a sua volta, su un valore, quello della tolleranza in senso liberale. Bobbio stesso disse parole di elogio su questo lavoro, al quale fecero seguito molte altre riflessioni, anch’esse di ispirazione divisionista. Diversità e pluralismo (1996), fra altri lavori, discute in questa luce le teorie contemporanee sulla devianza senza tacere severe critiche nei confronti, in particolare, della criminologia critica italiana, in cui veniva individuata una sottaciuta radice giusnaturalistica e, per questo, assolutistica.
Sulla stessa linea si collocano i successivi lavori dell’autore, di respiro sempre più ampio, dedicati al diritto e alla sua radice sociale, come Le ceneri del diritto: La dissoluzione dello Stato democratico in Italia (2007), La scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto (2009), Sociologia giuridica del lavoro (2012) e, negli ultimi tempi, Nichilismo come valore senza valori (2015), Della vita e della morte. Vulnerant omnes ultima necat (2015), e Il diritto come estetica (2016). Esce da questi scritti, accanto alla sempre ribadita posizione relativistica, alla fine anzi “nihilistica”, un disinganno crescente verso il diritto come strumento di regolazione sociale. Non meno significativi gli studi, purtroppo rimasti incompiuti rispetto alle intenzioni originarie, su processi e potere, come Il segno del compasso. La Massoneria e i suoi persecutori (2005) e Processo e morte di Giordano Bruno. I documenti (2012). Era nota, ribadita e supportata anche con evidenze empiriche la critica di Ghezzi verso la natura politica (e l’uso politico) del processo giudiziario.
Morris Ghezzi ha svolto anche una cospicua attività politica in generale e di politica della cultura in special modo. Militante della sinistra liberale in anni giovanili, ha poi ricoperto cariche di rilievo nel Partito socialista italiano. Ha presieduto la Lega internazionale dei diritti dell’uomo e ricoperto cariche direttive nella gloriosa Società Umanitaria di Milano. Ha fondato e diretto una collana di studi socio-giuridici per le edizioni Mimesis. Sue le edizioni italiane di importanti opere straniere: ricordiamo Ética contra politica. Los intelectuales y el poder di Elías Díaz (1992), Vorstudien zu einer Soziologie des Rechts del suo amatissimo Theodor Geiger, di imminente pubblicazione (iniziativa intrapresa, come varie altre, assieme a Nicoletta Ladavac Bersier) e Criminología. Teoría sociológica del delito, del giurista e sociologo colombiano Germán Silva García, in avanzata preparazione.



II edizione Premio Gay (Gaetano Sergio Iacono)
Carolina Canziani (Università di Milano) e Carlo Caprioglio (Università degli Studi Roma Tre) sono vincitori della seconda edizione (2016) del premio intitolato alla memoria del premio Gay.
Descrizione del premio
I vincitori del premio e le menzioni



Lettera aperta 
Verità e giustizia per Giulio

 
Giulio Regeni aveva 28 anni, era dottorando a Cambridge, al dipartimento di Development Studies, al momento Visiting Scholar presso l’American University del Cairo. La scomparsa di Giulio è avvenuta il 25 Gennaio 2016, e il corpo è stato ritrovato il 3 Febbraio, in circostanze ancora oscure. La notizia ci colpisce doppiamente, sia come persone che come studiosi. Porgendo il più sentito cordoglio alla famiglia Regeni sentiamo il dovere politico e morale di sottolineare la gravità di questo evento per le circostanze in cui è avvenuto e per le conseguenze che potrebbe avere in futuro per la ricerca libera, indipendente e appassionata. Giulio, da studioso, voleva capire i movimenti sociali che avevano promosso il cambiamento al grido di “Libertà, pane e giustizia sociale” nell’Egitto di Mubarak e le ragioni per cui quel mutamento non si era realizzato nel post Rivoluzione, sotto il governo salito al potere con un Golpe militare dell’ex Generale Abd Al​Fattah al​Sisi. In particolare, Regeni si occupava del ruolo dei sindacati e dei movimenti sociali oggi e aveva scelto di farsi raccontare la realtà dalle persone e di rappresentare fedelmente gli eventi, interpretati attraverso categorie analitiche. Per questo, da ricercatori, da colleghi, chiediamo oggi che ci sia verità e giustizia sull’accaduto, invitando il governo italiano a fare pressione su quello egiziano affinché venga fatta chiarezza, e che questa occasione tanto tragica possa essere anche un momento di riflessione e di presa di coscienza rispetto a quanto sta avvenendo nell’Egitto contemporaneo, e nei molti contesti in cui la privazione della libertà di espressione è all’ordine del giorno, e alle molte vittime egiziane che il regime sta colpendo quotidianamente. Il 15 Gennaio Giulio Regeni scriveva: “​il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento”. Quel cambiamento è la linfa fondamentale della nostra disciplina, ed è nostro dovere spronare i giovani studiosi a partire, a chiedere, a conoscere, a fare sì che il sacrificio di Giulio e dei molti ricercatori arrestati e processati per le loro idee, in Egitto come in Turchia, in Messico come in Siria non sia stato vano, e che i muri della paura possano essere abbattuti grazie ai pacifici strumenti della conoscenza. Il sospetto che siano stati i contenuti della ricerca che Giulio stava effettuando una delle ragioni che lo hanno esposto a tale pericolo rendono necessaria una presa di posizione dell’Accademia tutta, in Italia in Europa, nel mondo, affinché si sviluppino strumenti adatti a proteggere il lavoro dei ricercatori, spesso precari, che nel tentativo di unire il lavoro di studio ad una dimensione di responsabilità civile, non vengono supportati adeguatamente nel loro operato sul campo. Solo così, in questi momenti di oscurantismo e di paure globali, l’Università potrà continuare ad essere una istituzione libera e indipendente, uno strumento di produzione del pensiero e ottimo antidoto per gli abusi del potere.
​Lettera di Valeria Verdolini e sottoscritta dal Direttivo di Diritto e Società



Cordoglio per la perdita di André-Jean Arnaud

Il ricordo di VINCENZO FERRARI

Nella notte di Natale, a Toulouse, si è spento André-Jean Arnaud, al termine di una lunga malattia sopportata con grande coraggio.
È grande il vuoto che questo studioso lascia nella comunità scientifica. Teorico, storico e filosofo del diritto, profondo conoscitore delle fonti, delle norme e della loro radice sociale e culturale, Arnaud ha reagito al formalismo esegetico dominante nella giurisprudenza francese e praticato una visione aperta e mobile dei sistemi giuridici, della loro origine ed evoluzione. Sin dall’inizio, con i volumi dedicati al Code Napoléon (Les origines doctrinales du code civil français, 1969; Essai d’analyse structurale du code civil français. La règle du jeu dans la paix bourgeoise, 1974), ha operato con un metodo interdisciplinare che naturaliter lo ha condotto nel campo della sociologia del diritto, cui ha offerto un decisivo contributo. Ricordiamo in particolare Les juristes face à la société du XIXe siècle à nos jours del 1975, Clefs pour la justice del 1977, il primo volume della Critique de la raison juridique, apparso nel 1981 e sottointitolato Où va la sociologie du droit?, quindi El derecho sin máscara (1990), la raccolta di saggi apparsa nel 1998 col titolo Le droit trahi par la sociologie, la Introduction à l’analyse des systèmes juridiques (con María José Fariñas, 1998) e, da ultimo, le riflessioni sui processi di de-statalizzazione e mondializzazione del diritto, iniziate con Pour une pensée juridique européenne del 1992, proseguite con il secondo volume della Critique (Gouvernants sans frontières. Entre mondialisation et post-mondialisation, 2003) e concluse con La gouvernance. Un outil de participation (2014). La sua concezione pluralistica del diritto di ieri e di oggi, accorta e non dogmatica, è un punto fermo della produzione sociologico-giuridica degli ultimi decenni.
Al lavoro scientifico Arnaud ha affiancato una instancabile attività di promozione culturale di alto profilo, che ha lasciato tracce profonde. A cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80 dette vita a un “Réseau Droit et Société” da cui sono scaturiti il Dictionnaire encyclopédique de théorie et de sociologie du droit (1988, 2a ed. ampliata, 1993) e Droit et Société, la rivista francese di sociologia del diritto, nata nel 1985 e giunta oggi al 91o volume, voce originalissima nel panorama della cultura giuridica francese. Nel 1985 organizzò all’Università di Aix-en-Provence - Marsiglia un memorabile convegno del Research Committee on Sociology of Law, cui affluirono più di trecento partecipanti. Sarebbe superfluo ricordare, se non per completezza, il ruolo da lui ricoperto nella nascita dell’International Institute for the Sociology of Law di Oñati. Investito della direzione scientifica nel dicembre 1988, Arnaud si mise all’opera e nel volgere di soli cinque mesi letteralmente costruì l’istituto, ne definì i compiti istituzionali, ne inventò perfino i simboli e lo condusse alla fastosa inaugurazione del maggio 1989. Nel corso d’un altro anno lo rafforzò grazie ai fertilissimi rapporti con il Governo della Comunità Autonoma Basca e con l’amministrazione della città, arricchendolo della residenza, sottoscrivendo accordi con numerose università di tutto il mondo e, soprattutto, istituendo il corso di master in law and society, oggi laurea di secondo livello per la legislazione spagnola.
André-Jean Arnaud fu agli inizi una figura controversa in Francia per la sua eterodossia e le nette posizioni politiche. Ha compiuto fino ai vertici la sua carriera di chercheur nel CNRS ed è stato professore e conferenziere in molte università francesi e di altri paesi, in particolare in Brasile, paese d’origine della moglie Wanda Capeller, ove trascorreva da anni parte del suo tempo, diviso fra Rio de Janeiro e il suo Domaine di Rieux-Minervois, vicino a Carcassonne. Ha conquistato il riconoscimento accademico con la qualità delle sue opere e la sua autorevolezza. Soprattutto, ha conquistato affetto unanime per l’affabilità, l’allegria, la versatilità. Molti lo hanno ammirato e ne hanno seguito l’insegnamento. Il Research Committee, di cui è stato vice-presidente, gli ha attribuito nel 2015 il Premio Podgórecki come riconoscimento alla carriera.
I rapporti di Arnaud con l’Italia sono stati profondi e continui. Sugli Archives de Philosophie du Droit, poi su Droit et Société, seguiva con attenzione la produzione italiana e puntualmente ne riferiva. Chiuse magistralmente il Congresso del RCSL del 1988, parlando di una “vision pré-sociologique du droit” nella Bologna medioevale. Più volte ha contribuito a Sociologia del diritto con significativi interventi ed è stato per anni corrispondente della rivista dalla Francia, poi membro del Consiglio scientifico. I due volumi sul codice civile e Les juristes face à la société sono stati tradotti e pubblicati in italiano. André-Jean è stato indimenticabile amico della nostra comunità scientifica, che lo ricorderà con ammirazione e affetto ed è oggi vicina a Wanda, ai figli, ai nipoti, ai colleghi di altri paesi che ne piangono con noi la perdita.
 
André-Jean_a_Bologna-1988
André-Jean_a_Toulouse-2013

Il ricordo di STEFANIA PELLEGRINI

Francamente, non so se sono la persona più adatta a scrivere un ricordo del professor André-Jean  Arnaud che nella notte di Natale ha lasciato la sua Toulouse e tutti quelli che lo amavano e lo stimavano. Nei prossimi mesi ci sarà certamente chi, tra i nostri maestri, gli dedicherà forbite pagine nelle quali verranno ricordati i suoi più importanti contributi. Io l’ho conosciuto nel lontano 1988 a Bologna, durante il Congresso del RCSL. Ero una giovane studentessa al II anno di giurisprudenza ed il Prof. Ferrari mi aveva coinvolta nella organizzazione del Congresso che si svolgeva nell’ambito della ricorrenza del IX Centenario dell’Ateneo bolognese.  Anche se agli esordi dei miei studi di diritto, ero già affascinata dalla prospettiva sociologico-giuridica e dalla metodologia empirica mediante la quale veniva proposto uno studio del diritto nella società e un’analisi della società nel diritto.
Avevo assiduamente seguito le lezioni del Prof. Ferrari, sostenuto l’esame e da poco iniziato una ricerca che poi diventerà il fulcro di tutta la mia attività scientifica, ma niente di più. In occasione del congresso a Bologna vennero i più importanti studiosi della sociologia del diritto e delle scienze affini, ma uno su tutti è rimasto impresso nella mia memoria. Se penso a lui, che ho incontrato altre volte nel corso degli anni successivi, lo ricordo nell’atrio di Palazzo Malvezzi con quell’aria da pittore francese del lungo Senna: capello e barba lunga, la camicia fiorata, bermuda e sandali. La sua simpatia, la sua vivacità ed umanità erano nettamente contrastanti rispetto all’austerità alla quale l’ambiente universitario dominato  dai principi del Foro felsineo mi aveva già abituata.  Lui era sempre sorridente, affabile e, anche quando teneva le sue relazioni, riusciva a trasmettere gioia e serenità. Adorai la sua insistenza sull’importanza dell’approccio interdisciplinare che lui intendeva come “trasversalità delle esperienze, spirito di apertura e di critica”.  Mi convinse da subito il suo invito a dialogare con le altre scienze sociali, soprattutto con la scienza giuridica e la storia, senza contendersi l’oggetto di studio, ma ragionando sulle diverse visioni. Non poteva che essere lui il primo direttore scientifico dell’International Institute for the Sociology of Law di Oñati. E’ proprio ad Oñati che lo rividi nell’estate del 1990 a pochi mesi dalla mia laurea. Ritrovai la sua allegria e la sua umanità in quel centro che lui immaginava non come un laboratorio per studiosi, ma come un luogo di incontro, di scambio e “riciclo” culturale a tutti i livelli. Pensò a Oñati come a un luogo senza confini in cui ogni studioso, docente o studente, potesse appagare la propria curiosità scientifica; in cui potersi soffermare sulle proprie posizioni, ragionarci con serenità, metterle in discussione e riproporle con argomentazione nuove. Chi c’è stato, sa che l’Istituto di Oñati è un luogo magico, senza tempo e al di là dello spazio; una zona franca nella quale potersi dedicare ai propri studi con un profondo appagamento interiore. Immagino che Arnaud volesse che il nostro Istituto Internazionale diventasse proprio ciò che è diventato. 
Io non ho seguito con assiduità le sue produzioni scientifiche perchè mi sono occupata di tematiche differenti, ma ogni volta che, spintonata dai colleghi giuristi, volevo essere rassicurata rispetto al ruolo della nostra disciplina, rileggevo qualche pagina dei suoi scritti, quelli pubblicati in Sociologia del diritto o  un vecchio volume sulla Critique de la raison juridique, e mi rassicuravo.
Così capivo che non avrei potuto fare scelta diversa e mi venivano in mente le sue parole a Bologna, quando sosteneva la necessità di aprirsi e di dialogare tra discipline diverse, di arricchirci di confronti e di scontri perché “l’ordine nasce dal disordine e ogni pretesa di semplificare rivela tentativi di ridurre la complessità”.  Forse è stato il suo animo rivoluzionario e al contempo pacifista che mi ha fatto capire che il suo mondo sarebbe stato il mio mondo.
La vita accademica, gli studi e gli impegni familiari, poi, mi permisero sempre più raramente di partecipare a convegni all’estero, così incontrai raramente il professor Arnaud. Tuttavia, quando mi è giunta la notizia della sua scomparsa è come se il nostro primo incontro in quel lontano 1988 si fosse svolto qualche giorno addietro. Il suo viso sorridente, la sua camicia fiorata, il tono pacato e fermo sono rimasti indelebili nella mia mente. E’ anche grazie, o per colpa,  di questa immagine che la sociologia del diritto è diventata il mio rifugio, la mia casa, il mio destino. Au revoir monsieur le professeur. 


André-Jean_a_Onati-1989


Congratulazioni a Valeria Verdolini

​Lo scorso 13 novembre 2015 Valeria Verdolini è stata insignita del premio CILD per le Libertà Civili, nella sezione “Giovane attivista”.
A consegnare il premio è stato Anthony Romero, Executive Director della American Civil Liberties Union.
Nelle motivazioni del premio, che è alla sua prima edizione, si legge: “L’impegno si esprime in molti modi, e Valeria sa che si può raccontare solo se si è testimoni di ciò che accade. Non ha esitato e si è messa gioco, regalandoci un nuovo sguardo sulle difficoltà dei migranti e su chi li aiuta”.
A Valeria, la cui candidatura è stata sostenuta con convinzione e affetto dalla comunità scientifica e dalla realtà associativa, vanno le più vive congratulazioni per il significativo riconoscimento della sua appassionata attività di promozione dei diritti umani.

​Le Foto della premiazione
Il Video della premiazione


Felicitazioni al prof. Vincenzo Ferrari

Vincenzo Ferrari, già Presidente e socio fondatore della nostra Associazione, è stato nominato Direttore scientifico dell'International Institute for the Sociology of Law di Oñati, del quale è stato socio fondatore, per il biennio settembre 2016 - agosto 2018.
A lui vanno le nostre congratulazioni per il prestigioso incarico, che si aggiunge ad una già lunga serie di riconoscimenti in ambito nazionale ed internazionale e che ci fanno sperare in una ancora più intensa collaborazione tra la Sociologia del diritto italiana e questo Istituto, dove molti nostri studiosi, giovani e meno giovani, hanno potuto trovare un luogo ideale per la propria formazione e le proprie ricerche.
La notizia




Cordoglio per la perdita del prof. Massimo Pavarini

In data 29 settembre il prof. Massimo Pavarini ci ha lasciato, creando un vuoto incolmabile tra quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo. 
Amici e colleghi lo ricordano così.


Il ricordo di Tamar Pitch

Ho conosciuto Massimo Pavarini nel 1974, al secondo incontro annuale dell’European Group for the Study of Deviance and Social Control, in Inghilterra. Con Dario Melossi, stavano finendo di lavorare a carcere e Fabbrica (1975), tradotto poi in inglese e spagnolo, ormai un classico sulla storia del carcere.  Abbiamo poi fatto parte della redazione de La questione criminale, diretta da Alessandro Baratta e Franco Bricola e in seguito collaborato ai Dei delitti e delle pene, finché, morto anche il secondo “padre”, Baratta, siamo diventati genitori anche noi, di Studi sulla questione criminale. Insomma, una storia lunga quanto la nostra intera carriera lavorativa. In mezzo tante altre cose, una soprattutto: il comitato scientifico di Città sicure, voluto e messo in piedi da Massimo stesso, una impresa, all’epoca, pionieristica, che doveva congiungere lavoro intellettuale e pratica politica. Ciò che è stato, credo, il segno distintivo della nostra generazione, o perlomeno di questo nostro piccolo gruppo di “criminologi critici”, che non a caso ne ha pagato il prezzo in un approdo faticoso e contrastato ai massimi livelli della carriera accademica.
Nell’ultimo anno di malattia, sono venuti a trovare Massimo un bel po’ di professori, giuristi, giudici della corte costituzionale da molti paesi dell’America latina. Massimo era uno studioso di statura internazionale, conosciuto, stimato, amato. I suoi lavori sul carcere, la pena, il diritto penale e penitenziario, la sicurezza hanno ispirato più di una generazione di studiosi e operatori. E, come dicevo, costante è stato il suo impegno politico su questi temi. La sua bibliografia è lunga, ricca, prestigiosa, tradotta in varie lingue.
E poi Massimo era generoso, appassionato d’arte e di musica, conoscitore di vini e buongustaio. Era un amico. Gli ho voluto bene.


Il ricordo di Raffaele De Giorgi

Caro Massimo,
anche questa volta hai deciso in modo quasi improvviso, come facevi spesso, come tante volte avevi fatto, c’eri, il fragore della tua voce, la forza avvincente dei tuoi argomenti, l’eco della tua risata, inondavano la sala e poi, all’improvviso, non ti si vedeva più, eri già da un’altra parte, le tue carte, i tuoi appunti, i tuoi temi rubavano passioni di altri, catturavano pensieri prima disattenti di altri, inchiodavano ai loro banchi studenti di un altro paese, penetravano l’aria di un altro incontro, così hai fatto adesso, hai svoltato l’angolo senza rumore, senza dire nulla, ma ti sei portato via la parola, Massimo, ti sei portato via la forza, il volere, hai nascosto il tuo sorriso, hai reso opaca la passione, ci hai lasciati nel crepuscolo del giorno e nel crepuscolo della notte, proprio adesso che avevamo bisogno dei te, proprio adesso, che ci serviva tutto di te, la illuministica razionalità del tuo pensiero, la lucidità della tua osservazione del diritto penale,  il tuo sapere delle oscurità della pena, la moderazione del tuo disincanto del mondo, la forza dei tuoi referenti teorici, la tua grande capacità di illuminare i labirinti, i grovigli della violenza dei singoli e delle istituzioni con i colori della tua passione ragionata, adesso che ci serviva tutto di te, Massimo, l’ironia con cui leggevi il linguaggio del diritto, la tua capacità di stare dentro quel linguaggio senza lasciarti avvincere dalla sua seduzione,  la certezza che ti faceva tenere a distanza i suoi paradossi, la tua forza di frantumare le pareti dell’ideologia che quel linguaggio occulta e di farlo proprio con la semplicità del bambino che solleva il manto dell’acqua per osservare il cane che dorme sul fondo, proprio adesso che ci serviva tutto di te, Massimo, ti sei portato via la tua capacità di usare le grandi costruzioni del pensiero tenendoti a distanza, lasciandoti aperta la possibilità di accedere alla realtà senza la barriera di un limite, di una costrizione, di un presupposto che non fosse la controllata consapevolezza di una osservazione, adesso ci serviva tutto di te, Massimo, te lo sei portato via con i fogli di carta degli appunti che cerchiamo nel ricordo, nel tentativo di farci aiutare dalle parole, dalle cose scritte, dal racconto di che era con noi, ma poi tutti ci accorgiamo che sfogliamo immagini, che ascoltiamo l’eco di suoni spenti nella densità irreparabile di un’aria che trattiene il respiro, che cerchiamo di leggere le cose non dette che hai deciso di non dirci più e che adesso forse dirai ai tuoi, ai nostri vecchi maestri e con loro, ne sono sicuro, starete guardando con il disincanto del tempo che ha tempo, la povertà del tempo che resta e nel quale ci avete lasciati soli, a correre per catturare ricordi che ci diano il motivo di inventare ancora una volta la parola che tu e loro vi siete portato via. Proprio adesso, Massimo.
Con l’affetto di sempre, tuo Raffaele
​


I edizione Premio Gay (Gaetano Sergio Iacono)
​
Benedetta Perego (Università di Torino) è vincitrice della prima edizione (2015) del premio intitolato alla memoria del premio Gay.
Descrizione del premio
La vincitrice del premio e le menzioni

Il video della premiazione - Parte 1
​Il video della premiazione - Parte 2​





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